lunedì 3 maggio 2010

benvenuti

Inizio oggi 3 maggio 2010 questo blog che si propone come un "diario di lettura". Ogni settimana, senza eccessive rigidità, vorrei scegliere una poesia e proporre qualche osservazione. Spero che altri interventi arricchiscano l'analisi e contribuiscano a rendere interessanti e vivi versi che spesso dalla scuola ricordiamo come poco significativi, per non dir altro.

Naturalmente per i testi più recenti o per quelli in traduzione si potrebbe porre il problema dei diritti d'autore. Ma la poesia vende talmente poco che, con poche eccezioni, credo si possa citare senza timore di danneggiare nessuno, anzi al contrario favorendo la conoscenza dell'autore e quindi la diffusione, se non delle sue opere, almeno del suo nome.



Mario Luzi, Toccata

La prima poesia che propongo è di Mario Luzi (1914-2005), uno dei maggiori poeti italiani del Novecento. Si intitola Toccata e risale alla prima fase della sua produzione, gli anni Trenta del secolo scorso. L'autore ci offre un’immagine dell’aprile mesta e malinconica, molto diversa da quella a cui siamo abituati a pensare, molto in linea col clima di questi giorni, almeno a Milano.


Ecco aprile, la noia
dei cieli d’acqua di polvere,
la quiete della stuoia
alla finestra, un tocco
di vento, una ferita;
questa aliena presenza della vita
nel vano delle porte
nei fiumi tenui di cenere
nel tuo passo echeggiato dalle volte.


Note
2. cieli d’acqua di polvere: cieli grigi, pieni di nuvole che ricordano il colore della polvere.
3. la quiete della stuoia: l’immobilità della tenda.
5. una ferita: il “tocco di vento” è qualcosa che turba la “quiete”, un sussulto improvviso e doloroso.
6. aliena: da cui il poeta si sente escluso, lontano.
8. tenui: sottili, poveri d’acqua. di cenere: del colore grigiastro della cenere.
9. tuo: della persona amata a cui il poeta si rivolge. volte: soffitti.


La poesia di Luzi è sempre una poesia di ispirazione religiosa ed esistenziale. In Toccata, il poeta instaura una sorta di dialogo - con una donna amata? con un angelo? che si allontana misteriosamente, lasciando il poeta senza risposte.

La poesia si può suddividere in due parti:
- nella prima parte (vv. 1-5) l’attenzione dell’autore si concentra innanzitutto sulla descrizione della primavera;
- nella seconda parte della poesia (vv. 6-9) si analizza invece lo stato d’animo del poeta e si spiega la ragione della sua malinconia.
Nella prima parte, il poeta ci offre due immagini: quella del cielo ancora grigio e carico di pioggia, e quella della tenda immobile. Ma le parole chiave “noia” e “quiete” sono contraddette dall’improvviso colpo di vento - che annuncia la primavera, ma che è detto metaforicamente “una ferita” in quanto provoca nel poeta una reazione dolorosa, e non una piacevole rottura della noia o dell’immobilità descritte in precedenza.
La reazione dolorosa che l’arrivo della primavera provoca nel poeta si spiega nella seconda parte del testo: il poeta coglie gli indizi della primavera – le porte aperte (ad accogliere il tepore della nuova stagione), i rigagnoli d’acqua sporca (per il disgelo o le piogge) e il passo della persona amata (che il poeta sente in lontananza, come un’eco) – come una presenza “aliena”, lontana, da cui lui è escluso.

La poesia è particolarmente elaborata sul piano stilistico. Poche osservazioni confermano l’attento lavoro del poeta nella scelta e nella collocazione delle parole:
- “noia” (v. 1) è una parola chiave in forte antitesi, come abbiamo detto, con “aprile”; la sua importanza è sottolineata dalla rima con il successivo “stuoia”;
- “polvere” (v. 2) è il rapporto con “cenere” (v. 8), sia per il significato affine, sia perché sono le uniche due parole sdrucciole della poesia, sia infine perché il secondo e il penultimo verso sono gli unici irregolari (settenari ipermetri, cioè con una sillaba metrica in più);
- “ferita” (v. 5) rima con il successivo “vita”, collegando fra loro le due parti della poesia, separate dall’unica pausa forte (il punto e virgola), ma soprattutto instaurando un rapporto fra i due concetti (la vita come ferita, la primavera - stagione vitale per eccellenza - come presenza dolorosa per coloro che si sentono esclusi dalla vita stessa...).


Sandro Penna, Il mare è tutto azzurro

Siamo partiti un po' troppo alti? Non so, spesso le poesie che a prima vista sembrano più oscure e minacciose si rivelano meno problematiche di altre dall'aria falsamente innocua e cordiale. Sandro Penna (1906-1977), per esempio, passa per essere un poeta "facile", ma se osserviamo un po' da vicino questa quartina (forse la sua più famosa, tratta dalla raccolta Poesie del 1929), ci accorgiamo che dietro l'apparente facilità c'è un'elaborazione raffinatissima:


Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.


La poesia è composta di quattro versi rimati secondo lo schema abab (tradizionalissimo: ma il primo e il terzo verso presentano una rima imperfetta; il secondo e il quarto una rima identica; si tratta di due casi particolari, che rendono la scelta molto meno banale di quanto può apparire a prima vista).
Nella prima metà del testo, la sintassi e la metrica coincidono perfettamente. Nella seconda metà, invece, la simmetria viene infranta, giacché la terza frase si prolunga a causa dell’enjambement (urlo / di gioia), occupando il terzo verso e metà del quarto; anche le rime sottolineano questa rottura della perfetta simmetria: il terzo verso presenta infatti la rima imperfetta (azzurro : urlo), che il poeta mette in evidenza contrapponendole la rima non solo perfetta, ma identica, fra secondo e quarto (calmo : calmo).
È evidente allora il valore tematico delle rime e della struttura tutta della poesia: l’elemento di irregolarità coincide con l’urlo di gioia del poeta, che turba per un attimo la calma del paesaggio - pronta a ricomporsi subito dopo, nell’ultimo verso. L’argomento di questo testo è proprio l’improvvisa illuminazione del poeta di fronte al paesaggio: Penna contempla un mare perfettamente tranquillo e a un tratto sente sorgere in sé un sentimento di gioia talmente intenso da volersi esprimere in un grido, o da assomigliare a un grido interiore.
Attenzione, però: il paesaggio, e in particolare la sua perfetta tranquillità, non è solo lo sfondo, ma l’occasione che provoca lo scatto di gioia del poeta. Potremmo dire che “siccome” il mare è tutto azzurro e “siccome” il mare è tutto calmo, il poeta sente nascere nel proprio cuore un urlo di gioia. Tra il paesaggio e il poeta si instaura insomma una perfetta armonia: la gioia del poeta non turba se non apparentemente, per un brevissimo istante, la calma del mare, che viene riaffermata nelle ultime parole del testo.

Osserviamo ora il testo dal punto di vista stilistico e retorico: noteremo che il poeta ricorre a un linguaggio di estrema semplicità, utilizzando solo parole di uso comune ed evitando immagini ricercate ed espressioni insolite; le uniche metafore si trovano nella terza frase: nel cuore (= nell’animo) è quasi un urlo di gioia (= un sentimento di gioia intenso come un urlo) - ma si tratta di metafore di facile comprensione per chiunque, ben diverse da quelle volutamente intellettualistiche di Luzi, che pure scriveva più o meno negli stessi anni.
La tecnica a cui il poeta ricorre per conferire intensità e musicalità alla sua poesia è la ripetizione: attraverso la ripetizione Penna crea un ritmo cullante, armonioso, che ben esprime il sentimento di comunione con la natura da cui nasce la sua poesia. Luzi vuole esprimere, mi pare, un sentimento di disarmonia dolorosa, Penna invece canta l'attimo di perfetta felicità, l'istante paradisiaco, l'illuminazione meravigliosa che ricompensa delle sofferenze di tutta una vita (e la sua, omosessuale e ribelle, sotto il fascismo doveva essere dolorosa assai).


Alla prossima.

3 commenti:

  1. Perché non hai dato seguito a questa splendida iniziativa?

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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